A volte aspetti così tanto una buona notizia, aspetti così tanto che le cose vadano per il verso giusto, che quando poi succede resti incredula.
Oggi per me è una giornata speciale. Da festeggiare.
Una vittoria importante che aspettavo da tanto, tantissimo tempo.
Eppure mi sembra quasi di non essere soddisfatta.
Di non esserne orgogliosa.
Forse perchè quando sei abituata ai temporali non fai caso al primo raggio di sole.
Torino oggi mi regala una giornata bellissima.
Ci sono ancora nubi all'orizzonte ma il vento che soffia forte scopre un cielo azzurrissimo.
Oggi il vento ripulisce anche l'aria dentro di me.
E' ora di crederci.
Di rinascere.
...e il mio sorriso è per te...
mercoledì 31 marzo 2010
martedì 30 marzo 2010
lunedì 29 marzo 2010
domenica 28 marzo 2010
sabato 27 marzo 2010
Alla fine scopri che è tutto dentro di te.
La forza.
Il coraggio.
La caparbietà.
La grinta.
La determinazione.
Dentro di te c'è la chiave per ricominciare.
Per lottare.
Per essere felici.
E scopri che non c'è motivo per cui tu non debba sorridere alla vita.
Non c'è motivo per non sperare che possa ritornare il sereno.
E che il sole possa splendere anche dentro di te.
La forza.
Il coraggio.
La caparbietà.
La grinta.
La determinazione.
Dentro di te c'è la chiave per ricominciare.
Per lottare.
Per essere felici.
E scopri che non c'è motivo per cui tu non debba sorridere alla vita.
Non c'è motivo per non sperare che possa ritornare il sereno.
E che il sole possa splendere anche dentro di te.
venerdì 26 marzo 2010
Stringimi.
Solo per oggi.
Solo ora.
Ora che i fantasmi del passato bussano alla mia porta e ho paura.
Ora che il presente è pesante e il futuro sembra così lontano.
Stringimi a te.
Oggi che vorrei stare con la testa sotto il cuscino in attesa che torni a splendere il sole.
Che vorrei che il mondo fosse rassicurante come il tuo abbraccio.
Stringimi a te.
Stringimi forte.
Oggi che mi sento più fragile e insicura del solito.
Solo per oggi.
Solo ora.
Ora che i fantasmi del passato bussano alla mia porta e ho paura.
Ora che il presente è pesante e il futuro sembra così lontano.
Stringimi a te.
Oggi che vorrei stare con la testa sotto il cuscino in attesa che torni a splendere il sole.
Che vorrei che il mondo fosse rassicurante come il tuo abbraccio.
Stringimi a te.
Stringimi forte.
Oggi che mi sento più fragile e insicura del solito.
mercoledì 24 marzo 2010
A volte crescere fa paura.
A volte fa paura sbagliare.
Prendere le decisioni.
Amare.
Persino essere felici.
A volte fa paura vivere.
Allora scegli di chiudere gli occhi.
Scegli di vivere una non-vita.
Scegli la felicità effimera che sembra darti una ragione di essere.
Scegli di non pensare.
Scegli di rifugiarti in un mondo che non ti chiede niente, ma che ti toglie la cosa più preziosa che hai. Te.
Ma oggi non sei da solo.
Oggi cammino accanto a te.
Ti porgo la mano.
Afferrala, quando ti sembra di non farcela ad andare avanti.
Stringila, quando hai paura.
Prendine il calore, quando ti senti solo.
Oggi metto il mio cuore accanto al tuo.
Perché possa battere per te quando il tuo sarà troppo affaticato.
Perché possano riscaldarsi a vicenda.
Perché possano dividere le preoccupazioni.
Cammineremo insieme.
E scoprirai la dolcezza di un abbraccio.
La forza di un'amicizia.
Scoprirai che tenere gli occhi aperti ti regala l'emozione di un tramonto o del sorriso di un bambino.
Scoprirai che nessun dolore è così pesante se accetti di dividerlo con gli altri.
E scoprirai il colore della vera vita.
Il sapore della vera vita.
E capirai che è la cosa più buona che tu abbia mai assaggiato.
A volte fa paura sbagliare.
Prendere le decisioni.
Amare.
Persino essere felici.
A volte fa paura vivere.
Allora scegli di chiudere gli occhi.
Scegli di vivere una non-vita.
Scegli la felicità effimera che sembra darti una ragione di essere.
Scegli di non pensare.
Scegli di rifugiarti in un mondo che non ti chiede niente, ma che ti toglie la cosa più preziosa che hai. Te.
Ma oggi non sei da solo.
Oggi cammino accanto a te.
Ti porgo la mano.
Afferrala, quando ti sembra di non farcela ad andare avanti.
Stringila, quando hai paura.
Prendine il calore, quando ti senti solo.
Oggi metto il mio cuore accanto al tuo.
Perché possa battere per te quando il tuo sarà troppo affaticato.
Perché possano riscaldarsi a vicenda.
Perché possano dividere le preoccupazioni.
Cammineremo insieme.
E scoprirai la dolcezza di un abbraccio.
La forza di un'amicizia.
Scoprirai che tenere gli occhi aperti ti regala l'emozione di un tramonto o del sorriso di un bambino.
Scoprirai che nessun dolore è così pesante se accetti di dividerlo con gli altri.
E scoprirai il colore della vera vita.
Il sapore della vera vita.
E capirai che è la cosa più buona che tu abbia mai assaggiato.
martedì 23 marzo 2010
In questi giorni mi sembra di impazzire.
Ho il cervello in fiamme, i neuroni che lavorano a mille.
La mia mamma dice che ormai sono grande, che dovrei metter giudizio.
Mi sa che ha ragione!
Ci sono giorni in cui mi guardo allo specchio e realizzo che sto per compiere 27 anni.
Che dovrei essere ferma e risoluta nel raggiungere i miei obiettivi.
Lavoro, famiglia, figli.
Che dovrei essere matura.
Ma io mi sento un disastro!
Io sono quella che si butta a capofitto nelle situazioni -anche in quelle più assurde-, che si caccia sempre nei guai, che non riesce a vivere le cose con pacatezza, che non smette di aver fiducia negli altri.
Sono quella che sbatte la testa e si fa male, per poi risbatterla di nuovo...
A volte credo davvero che ci sia qualcosa di sbagliato in me!
Com'è possibile che io non riesca a star lontano dai guai? A fare scelte da persona matura?
Com'è possibile che io sia così tanto razionale e così tanto istintiva? che ami così tanto le certezze e così tanto gli imprevisti?
Chi mi è vicino dice che ho sempre bisogno dell'adrenalina a mille.
Forse è vero.
Forse perchè mi piace vivere con intensità.
Forse perchè mi piacciono le sfumature di colore.
Magari col tempo imparerò a gestire la vita con più moderazione, con più saggezza.
Per adesso cerco solo di contenere i danni.
Perchè il sapore della mia vita è quello agrodolce dell'incertezza.
E per adesso mi piace.
Anche se vuol dire essere confusa.
Anche se vuol dire sbatterci il muso e farsi male.
Perchè so che, alla fine di ogni giorno, avrò comunque trovato almeno un motivo per sorridere.
"Mi chiedo, a volte, che cosa ci porta a scegliere una vita piatta;
o meglio, non mi chiedo, contesto.
La risposta la so a memoria,
è stampata nella distanza e nella freddezza dei sorrisi,
nella debolezza degli abbracci,
nell'indifferenza dei "buongiorno" quasi sussurrati.
C’è troppa vigliaccheria e manca coraggio perfino per essere felici.
La passione brucia,
l'amore fa impazzire,
il desiderio tradisce.
Forse questi possono essere motivi
per scegliere tra allegria e dolore, sentire il niente,
ma non lo sono.
Se la virtù fosse proprio nei mezzi termini,
il mare non avrebbe onde,
i giorni sarebbero nuvolosi
e l'arcobaleno in toni di grigio.
Il niente non illumina, non ispira, non affligge, nè calma,
amplia solamente il vuoto che ognuno porta dentro di sè.
Non è che la fede muova le montagne,
nè che tutte le stelle siano raggiungibili,
per le cose che non possono essere cambiate ci resta solamente la pazienza,
però, preferire la sconfitta anticipata al dubbio della vittoria è sprecare l'opportunità di meritare.
Per gli errori esiste perdono;
per gli insuccessi, opportunità;
per gli amori impossibili, tempo.
A niente serve assediare un cuore vuoto o risparmiare l'anima.
Un romanzo la cui fine è istantanea o indolore non è un romanzo.
Non lasciare che la nostalgia soffochi,
che la routine ti abitui,
che la paura ti impedisca di tentare.
Dubita del destino e credi in te stesso.
Spreca più ore realizzando piuttosto che sognando,
facendo piuttosto che pianificando,
vivendo piuttosto che aspettando.
Perchè, mentre chi quasi muore è vivo,
chi quasi vive è già morto"
Luis Fernando Veríssimo
Ho il cervello in fiamme, i neuroni che lavorano a mille.
La mia mamma dice che ormai sono grande, che dovrei metter giudizio.
Mi sa che ha ragione!
Ci sono giorni in cui mi guardo allo specchio e realizzo che sto per compiere 27 anni.
Che dovrei essere ferma e risoluta nel raggiungere i miei obiettivi.
Lavoro, famiglia, figli.
Che dovrei essere matura.
Ma io mi sento un disastro!
Io sono quella che si butta a capofitto nelle situazioni -anche in quelle più assurde-, che si caccia sempre nei guai, che non riesce a vivere le cose con pacatezza, che non smette di aver fiducia negli altri.
Sono quella che sbatte la testa e si fa male, per poi risbatterla di nuovo...
A volte credo davvero che ci sia qualcosa di sbagliato in me!
Com'è possibile che io non riesca a star lontano dai guai? A fare scelte da persona matura?
Com'è possibile che io sia così tanto razionale e così tanto istintiva? che ami così tanto le certezze e così tanto gli imprevisti?
Chi mi è vicino dice che ho sempre bisogno dell'adrenalina a mille.
Forse è vero.
Forse perchè mi piace vivere con intensità.
Forse perchè mi piacciono le sfumature di colore.
Magari col tempo imparerò a gestire la vita con più moderazione, con più saggezza.
Per adesso cerco solo di contenere i danni.
Perchè il sapore della mia vita è quello agrodolce dell'incertezza.
E per adesso mi piace.
Anche se vuol dire essere confusa.
Anche se vuol dire sbatterci il muso e farsi male.
Perchè so che, alla fine di ogni giorno, avrò comunque trovato almeno un motivo per sorridere.
"Mi chiedo, a volte, che cosa ci porta a scegliere una vita piatta;
o meglio, non mi chiedo, contesto.
La risposta la so a memoria,
è stampata nella distanza e nella freddezza dei sorrisi,
nella debolezza degli abbracci,
nell'indifferenza dei "buongiorno" quasi sussurrati.
C’è troppa vigliaccheria e manca coraggio perfino per essere felici.
La passione brucia,
l'amore fa impazzire,
il desiderio tradisce.
Forse questi possono essere motivi
per scegliere tra allegria e dolore, sentire il niente,
ma non lo sono.
Se la virtù fosse proprio nei mezzi termini,
il mare non avrebbe onde,
i giorni sarebbero nuvolosi
e l'arcobaleno in toni di grigio.
Il niente non illumina, non ispira, non affligge, nè calma,
amplia solamente il vuoto che ognuno porta dentro di sè.
Non è che la fede muova le montagne,
nè che tutte le stelle siano raggiungibili,
per le cose che non possono essere cambiate ci resta solamente la pazienza,
però, preferire la sconfitta anticipata al dubbio della vittoria è sprecare l'opportunità di meritare.
Per gli errori esiste perdono;
per gli insuccessi, opportunità;
per gli amori impossibili, tempo.
A niente serve assediare un cuore vuoto o risparmiare l'anima.
Un romanzo la cui fine è istantanea o indolore non è un romanzo.
Non lasciare che la nostalgia soffochi,
che la routine ti abitui,
che la paura ti impedisca di tentare.
Dubita del destino e credi in te stesso.
Spreca più ore realizzando piuttosto che sognando,
facendo piuttosto che pianificando,
vivendo piuttosto che aspettando.
Perchè, mentre chi quasi muore è vivo,
chi quasi vive è già morto"
Luis Fernando Veríssimo
giovedì 18 marzo 2010
Cari amici bloggers, sono riuscita a "ricostruire" in buona parte la mia testimonianza di martedì. Mi rendo conto che è molto lunga, ma ho voglia di condividerla con voi che non mi avete mai fatto mancare il vostro appoggio.
Una delle cose che più spesso mi viene chiesta è perchè ho scelto di fare il medico.
Non ho mai trovato una risposta precisa a questa domanda, perchè credo che la scelta sia venuta da sè con gli anni, sia nata e sia maturata con la mia storia.
Ho conosciuto la sofferenza sin da piccolissima, quando mio zio, missionario in Africa da più di 30 anni, mi raccontava le storie di bambini come me che vivevano una vita molto diversa dalla mia.
Già a 3 anni sapevo che lo scarto della mia cena di una sera era ciò che uno dei "bimbi dello zio" non avrebbe mangiato neanche in una settimana.
Sapevo che c'erano bambini come me che camminavano per chilometri per un pò di acqua -che dalle foto mi sembrava tanto quella delle pozzanghere-, mentre a me bastava aprire il rubinetto. Sapevo che ero fortunata ad avere un papà e una mamma che mi volevano bene, che si prendevano cura di me, che non mi facevano mancare niente.
Sin da piccola ho imparato che fuori dalla porta di casa mia c'era un mondo diverso, molto diverso dal mio.
Un mondo di fame, povertà, dolore.
Sono cresciuta con la sensibilità di chi non riesce a voltarsi dall'altra parte di fronte alla sofferenza.
Non sapevo bene come fare, ma volevo essere utile, volevo fare qualcosa.
Quando a 12-13 anni ho iniziato a frequentare la parrocchia del mio quartiere, ho capito che il disagio, la droga, l'abbandono sono miei vicini di casa.
Io che frequentavo le migliori scuole della città, studiavo musica, inglese, nuotavo, avevo come compagni di giochi ragazzini che sapevano come usare una pistola, che sapevano cosa vuol dire avere un papà in cassa integrazione o in carcere, cos'è l'alcol o la droga.
Ho imparato che la violenza è spesso l'urlo di chi cresce senza amore, che il dolore vissuto in solitudine può annientarti, che spesso la vita ti porta a gesti estremi.
Come quello di Gianluca, un mio amico.
Uno di quei ragazzi che a scuola è "un'istituzione", che è sempre circondato da amici, che ha sempre qualcuno con cui parlare.
Uno di quei ragazzi che credi non si possano mai sentire soli.
Invece si sentiva solo e ce ne siamo accorti il giorno in cui ha deciso che il peso della vita era troppo per lui e si è lanciato dal tetto della scuola.
Penso a Gianluca tutti i giorni.
Penso a lui che mi ha aperto gli occhi su un altro tipo di dolore, più subdolo, più sottile, più spaventoso di quello fisico.
Quello psicologico: la depressione, l'ansia, il panico,la solitudine.
Gianluca era circondato di persone ma non aveva nessuno con cui dividere i suoi pensieri.
Chissà quante volte ha chiesto aiuto e non ce ne siamo accorti, presi dai nostri impegni, protetti dalle giustificazioni dei nostri problemi. Chissà quanto grande era il suo dolore e quanto piccola fosse la nostra attenzione verso di lui.
La storia di Gianluca mi ha insegnato che spesso un urlo di dolore non fa rumore, che spesso passo intere giornate con persone che in realtà non conosco. "Perchè io ho la mia vita, i miei problemi. Non posso certo preoccuparmi di quelli degli altri..."
Ho capito così che volevo uscire dal mio recinto, dal mio egoismo e guardare gli altri negli occhi.
Ho deciso che avrei cercato di avere sempre 5 minuti per parlare, che avrei stretto mani e dato abbracci e che ci sarei stata per chiunque si fosse rivolto a me.
Perchè il dolore diviso in due pesa un pò meno.
Ho deciso di essere medico perchè ho vissuto la malattia quando ero bimba.
Ho vissuto il dolore, la paura, e nonostante i miei 7 anni avevo notato come nessuno di quei signori in camice bianco si fosse mai preoccupato di farmi una carezza.
Sono entrata la prima volta in reparto da studentessa con la consapevolezza che per me nessun paziente sarebbe stato il numero del letto o il nome della malattia.
Ho collezionato rimproveri su rimproveri dai miei superiori, perchè perdevo tempo a parlare con i malati.
"Perdevo tempo" a regalare un sorriso, a stringere una mano, a scambiare due chiacchiere.
Spesso nei miei tirocini venivo classificata come medico potenzialmente bravo ma non produttivo.
Perchè essere produttivi in medicina vuol dire visitare e curare il maggior numero di pazienti possibile nel minor tempo possibile.
Ma io non volevo questo.
Non volevo vivere così questo mestiere.
Non era questa che volevo essere.
Un bel giorno mi sono svegliata e ho deciso di non laurearmi più. Piuttosto che fare il mestiere che ho sempre amato e che sentivo "mio" in modo così diverso da come mi aspettavo, preferivo non laurearmi proprio.
Tutto quello in cui credevo e su cui avevo basato la mia vita mi sfuggiva di mano.
Ho pianto.
Mi sono disperata.
Ho conosciuto l'apatia e la depressione.
Ho conosciuto il dolore che ti toglie il respiro, la delusione, l'inadeguatezza.
Ho conosciuto il dolore che non riesci a confidare a nessuno, il dolore che ti porta anche a pensare a cose stupide, molto stupide.
Stavo male ed ero da sola, perchè nessuno dei miei colleghi aveva tempo da togliere alla galoppante ascesa nel mondo della medicina.
E io che ero rimasta indietro, forse non ero davvero all'altezza di questo mestiere.
Ho chiesto aiuto alla mia migliore amica, collega e medico.
Le ho parlato della sofferenza che mi stava logorando come si fa tra amiche, ma anche come si fa tra colleghi.
Da allora non l'ho più vista. Forse ha pensato che non fossi più "alla sua altezza". O che non avesse tempo da perdere con me.
Paradossalmente però, ora che sto bene, non ce l'ho con lei. Perchè a sua insaputa mi ha insegnato che genere di medico non voglio essere.
Non voglio scrivere articoli, andare ai congressi, essere famosa, se poi non riesco ad essere vicino a chi mi chiede aiuto.
Io voglio trovare il tempo di ascoltare.
Di stringere una mano.
Di dividere lacrime e sorrisi.
Sofferenze e speranze.
Io voglio esserci.
Proprio quando pensavo di aver toccato il fondo, ho conosciuto il Sermig (ndr per chi volesse sapere qualcosa di più, www.sermig.org).
L'Arsenale è diventato presto la mia seconda casa, perchè sono stata accolta con un sorriso, senza essere giudicata. E da allora ho ritrovato la pace.
All'Arsenale ho imparato che anche quando sembra di essere così piccoli, così vuoti, così inutili da non aver niente da dare, si può fare qualcosa per gli altri.
Anche nella sofferenza profonda si può dare speranza.
E il bene porta il bene.
Ricordo con un sorriso le facce sconvolte delle mie colleghe quando sapevano che io -futuro medico- trascorrevo interi pomeriggi a preparare i pasti o pulire i bagni dei senza tetto.
Io futuro medico, a fare cose così "umili" per gente che non avrei incontrato, che non avrebbe mai potuto esprimermi la propria riconoscenza.
All'Arsenale ho conosciuto la mia vera dimensione. La mia strada.
Ho imparato quanto è difficile aiutare, quanto a volte costa non ricevere neanche un grazie.
Ma ho capito che è ancora più bello riuscire a dare in maniera gratuita.
E il più delle volte, gli sguardi che incrociano il tuo, gli abbracci inaspettati, i sorrisi timidi, valgono più di mille parole.
Ho imparato che le mie mani, il mio cuore, il mio tempo, la mia professionalità se messe al servizio degli altri diventano lumini di speranza.
Spesso sento dire che "fare il medico è una missione". E' una frase che non sopporto!
E' vero, godiamo di un notevole riconoscimento sociale, che spesso e volentieri ci fa sentire "invincibili".
Ci occupiamo delle persone nel momento in cui sono più fragili, più indifese.
Ma solo questo non fa di noi persone migliori degli altri.
E questo non esonera gli altri dall'essere vicino alla sofferenza del parente, dell'amico, del vicino di casa. Ognuno in base alle competenze, all'esperienza, all'età.
I miei amici che si professano atei spesso mi chiedono: "Dov'era Dio durante il terremoto ad Haiti?".
E noi dov'eravamo? Ad Haiti si moriva di fame e malattie già prima del terremoto.
NOI dov'eravamo?
Dove siamo noi OGGI che 30 mila persone moriranno di fame?
La fame, la malattia, la droga, la violenza...
Dov'è Dio?
Cosa fa Dio?
Per me la risposta è questa: per il mio fratello che soffre, Dio ha fatto ME.
Una delle cose che più spesso mi viene chiesta è perchè ho scelto di fare il medico.
Non ho mai trovato una risposta precisa a questa domanda, perchè credo che la scelta sia venuta da sè con gli anni, sia nata e sia maturata con la mia storia.
Ho conosciuto la sofferenza sin da piccolissima, quando mio zio, missionario in Africa da più di 30 anni, mi raccontava le storie di bambini come me che vivevano una vita molto diversa dalla mia.
Già a 3 anni sapevo che lo scarto della mia cena di una sera era ciò che uno dei "bimbi dello zio" non avrebbe mangiato neanche in una settimana.
Sapevo che c'erano bambini come me che camminavano per chilometri per un pò di acqua -che dalle foto mi sembrava tanto quella delle pozzanghere-, mentre a me bastava aprire il rubinetto. Sapevo che ero fortunata ad avere un papà e una mamma che mi volevano bene, che si prendevano cura di me, che non mi facevano mancare niente.
Sin da piccola ho imparato che fuori dalla porta di casa mia c'era un mondo diverso, molto diverso dal mio.
Un mondo di fame, povertà, dolore.
Sono cresciuta con la sensibilità di chi non riesce a voltarsi dall'altra parte di fronte alla sofferenza.
Non sapevo bene come fare, ma volevo essere utile, volevo fare qualcosa.
Quando a 12-13 anni ho iniziato a frequentare la parrocchia del mio quartiere, ho capito che il disagio, la droga, l'abbandono sono miei vicini di casa.
Io che frequentavo le migliori scuole della città, studiavo musica, inglese, nuotavo, avevo come compagni di giochi ragazzini che sapevano come usare una pistola, che sapevano cosa vuol dire avere un papà in cassa integrazione o in carcere, cos'è l'alcol o la droga.
Ho imparato che la violenza è spesso l'urlo di chi cresce senza amore, che il dolore vissuto in solitudine può annientarti, che spesso la vita ti porta a gesti estremi.
Come quello di Gianluca, un mio amico.
Uno di quei ragazzi che a scuola è "un'istituzione", che è sempre circondato da amici, che ha sempre qualcuno con cui parlare.
Uno di quei ragazzi che credi non si possano mai sentire soli.
Invece si sentiva solo e ce ne siamo accorti il giorno in cui ha deciso che il peso della vita era troppo per lui e si è lanciato dal tetto della scuola.
Penso a Gianluca tutti i giorni.
Penso a lui che mi ha aperto gli occhi su un altro tipo di dolore, più subdolo, più sottile, più spaventoso di quello fisico.
Quello psicologico: la depressione, l'ansia, il panico,la solitudine.
Gianluca era circondato di persone ma non aveva nessuno con cui dividere i suoi pensieri.
Chissà quante volte ha chiesto aiuto e non ce ne siamo accorti, presi dai nostri impegni, protetti dalle giustificazioni dei nostri problemi. Chissà quanto grande era il suo dolore e quanto piccola fosse la nostra attenzione verso di lui.
La storia di Gianluca mi ha insegnato che spesso un urlo di dolore non fa rumore, che spesso passo intere giornate con persone che in realtà non conosco. "Perchè io ho la mia vita, i miei problemi. Non posso certo preoccuparmi di quelli degli altri..."
Ho capito così che volevo uscire dal mio recinto, dal mio egoismo e guardare gli altri negli occhi.
Ho deciso che avrei cercato di avere sempre 5 minuti per parlare, che avrei stretto mani e dato abbracci e che ci sarei stata per chiunque si fosse rivolto a me.
Perchè il dolore diviso in due pesa un pò meno.
Ho deciso di essere medico perchè ho vissuto la malattia quando ero bimba.
Ho vissuto il dolore, la paura, e nonostante i miei 7 anni avevo notato come nessuno di quei signori in camice bianco si fosse mai preoccupato di farmi una carezza.
Sono entrata la prima volta in reparto da studentessa con la consapevolezza che per me nessun paziente sarebbe stato il numero del letto o il nome della malattia.
Ho collezionato rimproveri su rimproveri dai miei superiori, perchè perdevo tempo a parlare con i malati.
"Perdevo tempo" a regalare un sorriso, a stringere una mano, a scambiare due chiacchiere.
Spesso nei miei tirocini venivo classificata come medico potenzialmente bravo ma non produttivo.
Perchè essere produttivi in medicina vuol dire visitare e curare il maggior numero di pazienti possibile nel minor tempo possibile.
Ma io non volevo questo.
Non volevo vivere così questo mestiere.
Non era questa che volevo essere.
Un bel giorno mi sono svegliata e ho deciso di non laurearmi più. Piuttosto che fare il mestiere che ho sempre amato e che sentivo "mio" in modo così diverso da come mi aspettavo, preferivo non laurearmi proprio.
Tutto quello in cui credevo e su cui avevo basato la mia vita mi sfuggiva di mano.
Ho pianto.
Mi sono disperata.
Ho conosciuto l'apatia e la depressione.
Ho conosciuto il dolore che ti toglie il respiro, la delusione, l'inadeguatezza.
Ho conosciuto il dolore che non riesci a confidare a nessuno, il dolore che ti porta anche a pensare a cose stupide, molto stupide.
Stavo male ed ero da sola, perchè nessuno dei miei colleghi aveva tempo da togliere alla galoppante ascesa nel mondo della medicina.
E io che ero rimasta indietro, forse non ero davvero all'altezza di questo mestiere.
Ho chiesto aiuto alla mia migliore amica, collega e medico.
Le ho parlato della sofferenza che mi stava logorando come si fa tra amiche, ma anche come si fa tra colleghi.
Da allora non l'ho più vista. Forse ha pensato che non fossi più "alla sua altezza". O che non avesse tempo da perdere con me.
Paradossalmente però, ora che sto bene, non ce l'ho con lei. Perchè a sua insaputa mi ha insegnato che genere di medico non voglio essere.
Non voglio scrivere articoli, andare ai congressi, essere famosa, se poi non riesco ad essere vicino a chi mi chiede aiuto.
Io voglio trovare il tempo di ascoltare.
Di stringere una mano.
Di dividere lacrime e sorrisi.
Sofferenze e speranze.
Io voglio esserci.
Proprio quando pensavo di aver toccato il fondo, ho conosciuto il Sermig (ndr per chi volesse sapere qualcosa di più, www.sermig.org).
L'Arsenale è diventato presto la mia seconda casa, perchè sono stata accolta con un sorriso, senza essere giudicata. E da allora ho ritrovato la pace.
All'Arsenale ho imparato che anche quando sembra di essere così piccoli, così vuoti, così inutili da non aver niente da dare, si può fare qualcosa per gli altri.
Anche nella sofferenza profonda si può dare speranza.
E il bene porta il bene.
Ricordo con un sorriso le facce sconvolte delle mie colleghe quando sapevano che io -futuro medico- trascorrevo interi pomeriggi a preparare i pasti o pulire i bagni dei senza tetto.
Io futuro medico, a fare cose così "umili" per gente che non avrei incontrato, che non avrebbe mai potuto esprimermi la propria riconoscenza.
All'Arsenale ho conosciuto la mia vera dimensione. La mia strada.
Ho imparato quanto è difficile aiutare, quanto a volte costa non ricevere neanche un grazie.
Ma ho capito che è ancora più bello riuscire a dare in maniera gratuita.
E il più delle volte, gli sguardi che incrociano il tuo, gli abbracci inaspettati, i sorrisi timidi, valgono più di mille parole.
Ho imparato che le mie mani, il mio cuore, il mio tempo, la mia professionalità se messe al servizio degli altri diventano lumini di speranza.
Spesso sento dire che "fare il medico è una missione". E' una frase che non sopporto!
E' vero, godiamo di un notevole riconoscimento sociale, che spesso e volentieri ci fa sentire "invincibili".
Ci occupiamo delle persone nel momento in cui sono più fragili, più indifese.
Ma solo questo non fa di noi persone migliori degli altri.
E questo non esonera gli altri dall'essere vicino alla sofferenza del parente, dell'amico, del vicino di casa. Ognuno in base alle competenze, all'esperienza, all'età.
I miei amici che si professano atei spesso mi chiedono: "Dov'era Dio durante il terremoto ad Haiti?".
E noi dov'eravamo? Ad Haiti si moriva di fame e malattie già prima del terremoto.
NOI dov'eravamo?
Dove siamo noi OGGI che 30 mila persone moriranno di fame?
La fame, la malattia, la droga, la violenza...
Dov'è Dio?
Cosa fa Dio?
Per me la risposta è questa: per il mio fratello che soffre, Dio ha fatto ME.
martedì 16 marzo 2010
E impari che...
"Dopo un po' impari la sottile differenza
tra tenere una mano e incatenare un'anima.
E impari che l'amore
non è appoggiarsi a qualcuno
e la compagnia non è sicurezza.
E inizi a imparare che i baci non sono contratti
e i doni non sono promesse.
E cominci ad accettare le tue sconfitte
a testa alta e con gli occhi aperti,
con la grazia di un adulto
non con il dolore di un bimbo.
E impari a costruire tutte le strade oggi,
perché il terreno di domani
è troppo incerto per affidarsi ad esso.
Dopo un po' impari che anche il sole scotta
se ne prendi troppo.
Perciò semina il tuo giardino
e decora la tua anima,
invece di aspettare
che qualcuno ti porti i fiori.
E impari che puoi davvero crescere,
che puoi costruire oggi il tuo domani
e che sei veramente una persona forte..."
tra tenere una mano e incatenare un'anima.
E impari che l'amore
non è appoggiarsi a qualcuno
e la compagnia non è sicurezza.
E inizi a imparare che i baci non sono contratti
e i doni non sono promesse.
E cominci ad accettare le tue sconfitte
a testa alta e con gli occhi aperti,
con la grazia di un adulto
non con il dolore di un bimbo.
E impari a costruire tutte le strade oggi,
perché il terreno di domani
è troppo incerto per affidarsi ad esso.
Dopo un po' impari che anche il sole scotta
se ne prendi troppo.
Perciò semina il tuo giardino
e decora la tua anima,
invece di aspettare
che qualcuno ti porti i fiori.
E impari che puoi davvero crescere,
che puoi costruire oggi il tuo domani
e che sei veramente una persona forte..."
venerdì 12 marzo 2010
Fin dalla sua nascita questo blog è stato custode delle mie emozioni.
Stasera ne raccoglie una speciale.
Sono stata invitata a portare la mia testimonianza ad un gruppo di giovani.
La mia testimonianza di vita, di fede.
Di sofferenza, di speranza.
Il mio cuore batte ancora a mille.
Ne sono lusingata!
Non voglio preparare un discorso vero e proprio.
Lascerò parlare il mio cuore.
Lascerò che vengano fuori le mie emozioni, le mie paure, le mie speranze.
Racconterò di tutte le volte in cui sono caduta e mi sono sentita perduta.
Delle volte in cui si prova così tanto dolore da non riuscire a respirare.
Delle volte in cui la sofferenza attorno a te ti colpisce tanto che chiudi gli occhi per non vederla.
Ma soprattutto racconterò della mano che ti aiuta a rialzarti.
Degli abbracci e dei sorrisi inaspettati.
Di chi divide con te il peso della tua sofferenza.
E di quanto la vita sia bella quando metti da parte un pò del tuo egoismo e decidi di viverla con gli altri.
A voi tutti, amici bloggers, chiedo una preghiera e un pensiero per me.
Stasera ne raccoglie una speciale.
Sono stata invitata a portare la mia testimonianza ad un gruppo di giovani.
La mia testimonianza di vita, di fede.
Di sofferenza, di speranza.
Il mio cuore batte ancora a mille.
Ne sono lusingata!
Non voglio preparare un discorso vero e proprio.
Lascerò parlare il mio cuore.
Lascerò che vengano fuori le mie emozioni, le mie paure, le mie speranze.
Racconterò di tutte le volte in cui sono caduta e mi sono sentita perduta.
Delle volte in cui si prova così tanto dolore da non riuscire a respirare.
Delle volte in cui la sofferenza attorno a te ti colpisce tanto che chiudi gli occhi per non vederla.
Ma soprattutto racconterò della mano che ti aiuta a rialzarti.
Degli abbracci e dei sorrisi inaspettati.
Di chi divide con te il peso della tua sofferenza.
E di quanto la vita sia bella quando metti da parte un pò del tuo egoismo e decidi di viverla con gli altri.
A voi tutti, amici bloggers, chiedo una preghiera e un pensiero per me.
mercoledì 10 marzo 2010
Stasera vorrei un abbraccio.
Ho gli occhi lucidi e sono pronta ad esplodere.
Sono pronta a sfogare la tristezza, l'ansia, la delusione, le aspettative, le attenzioni non ripagate, l' affetto non ricambiato di questi ultimi mesi.
Vorrei sfogarmi nella stretta di braccia amiche e sentirmi accolta, protetta.
Vorrei un abbraccio.
Vorrei sentire il calore, il battito del cuore, il ritmo del respiro...
Vorrei solo, per un momento, non essere sola...
Ho gli occhi lucidi e sono pronta ad esplodere.
Sono pronta a sfogare la tristezza, l'ansia, la delusione, le aspettative, le attenzioni non ripagate, l' affetto non ricambiato di questi ultimi mesi.
Vorrei sfogarmi nella stretta di braccia amiche e sentirmi accolta, protetta.
Vorrei un abbraccio.
Vorrei sentire il calore, il battito del cuore, il ritmo del respiro...
Vorrei solo, per un momento, non essere sola...
"...vorrei che le mie mani avessero la forza
per sostenere chi non può camminare.
Vorrei che questo cuore
che esplode in sentimenti
diventasse culla per chi non ha più madre.
Mani, prendi queste mie mani,
fanne vita, fanne amore,
braccia aperte per ricevere chi è solo.
Cuore, prendi questo mio cuore,
fa’ che si spalanchi al mondo,
germogliando per quegli occhi
che non sanno piangere più..."
per sostenere chi non può camminare.
Vorrei che questo cuore
che esplode in sentimenti
diventasse culla per chi non ha più madre.
Mani, prendi queste mie mani,
fanne vita, fanne amore,
braccia aperte per ricevere chi è solo.
Cuore, prendi questo mio cuore,
fa’ che si spalanchi al mondo,
germogliando per quegli occhi
che non sanno piangere più..."
martedì 9 marzo 2010
lunedì 8 marzo 2010
Ai tempi della scuola, nel giorno della festa della donna, la ricerca o il tema era un must.
Perchè era stata istituita, la condizione della donna nell'ottocento e nel primo novecento, il perchè della mimosa...
Poi, già ai tempi del liceo, ricordo alcune mie compagne "inorridire" -in un impeto post femminista- al pensiero dell'8 marzo.
A chi serve una festa per la donna, quando la donna si dovrebbe festeggiare tutti i giorni?
A che serve una festa che "ricalca" la differenza con l'uomo?
Probabilmente, non a me.
Io sono cresciuta in una famiglia che non mi ha mai "discriminata".
Ho scelto dove e cosa studiare.
Scelgo come vestirmi, cosa fare o non fare, chi frequentare.
Prendo le mie decisioni in autonomia, senza che nessuno metta in dubbio la mia intelligenza.
Sono apprezzata per il mio lavoro e le mie attività.
Quindi, per me, che senso ha un augurio e una mimosa oggi?
Poi penso alla mia sorella ghanese, che conosce l'atrocità dell'infibulazione.
Alla mia sorella nigeriana, che è stata così tanto umiliata fisicamente ed affettivamente, che fa fatica a credere che si possa voler bene senza dover per forza dare qualcosa in cambio.
Penso alla mia sorella keniana, che è solo un utero da cui far nascere il maggior numero di figli possibili.
Alla mia sorella afgana o irachena, che è disprezzata nella sua intelligenza e nella sua femminilità.
Alla mia sorella che conosce la fame e la malattia per sè e per i suoi bimbi, senza poter far altro che aspettare la morte.
Penso alle mie sorelle che non hanno un posto accogliente e sereno dove vivere.
Che conoscono il dolore della violenza sessuale e fisica.
Che non hanno gli stessi diritti e riconoscimenti lavorativi dei colleghi uomini.
Che devono mettere da parte il desiderio di maternità per non perdere il lavoro.
Che sono prigioniere tra le mura domestiche.
Che sono umiliate, disprezzate solo per il fatto di essere donne, e a cui viene negata la dignità di essere donna.
Per me e il mio ristrettissimo mondo questa festa potrebbe anche essere inutile.
Ma non lo è perchè serve ad aprire gli occhi, a guardarsi intorno...
Anche io vorrei che non ci fosse più la festa della donna.
Perchè vorrebbe dire vivere in un mondo senza discriminazioni sessuali.
Un mondo in cui ogni donna possa studiare e sfruttare la propria intelligenza.
In cui l'uomo e la donna abbiano pari possibilità lavorative.
Un mondo in cui ogni donna possa vestirsi e comportarsi come crede senza essere giudicata nella sua sessualità.
Possa essere pienamente padrona della sua femminilità e della sua sensualità.
Un mondo in cui ogni donna possa essere semplicemente se stessa.
La mia mimosa oggi non è un fiore giallo, ma un pensiero per ogni mia sorella nel mondo.
Lettera alle donne
Giovanni Paolo II
Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.
Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.
Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.
Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del « mistero », alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità.
Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta « sponsale », che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.
Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani
Perchè era stata istituita, la condizione della donna nell'ottocento e nel primo novecento, il perchè della mimosa...
Poi, già ai tempi del liceo, ricordo alcune mie compagne "inorridire" -in un impeto post femminista- al pensiero dell'8 marzo.
A chi serve una festa per la donna, quando la donna si dovrebbe festeggiare tutti i giorni?
A che serve una festa che "ricalca" la differenza con l'uomo?
Probabilmente, non a me.
Io sono cresciuta in una famiglia che non mi ha mai "discriminata".
Ho scelto dove e cosa studiare.
Scelgo come vestirmi, cosa fare o non fare, chi frequentare.
Prendo le mie decisioni in autonomia, senza che nessuno metta in dubbio la mia intelligenza.
Sono apprezzata per il mio lavoro e le mie attività.
Quindi, per me, che senso ha un augurio e una mimosa oggi?
Poi penso alla mia sorella ghanese, che conosce l'atrocità dell'infibulazione.
Alla mia sorella nigeriana, che è stata così tanto umiliata fisicamente ed affettivamente, che fa fatica a credere che si possa voler bene senza dover per forza dare qualcosa in cambio.
Penso alla mia sorella keniana, che è solo un utero da cui far nascere il maggior numero di figli possibili.
Alla mia sorella afgana o irachena, che è disprezzata nella sua intelligenza e nella sua femminilità.
Alla mia sorella che conosce la fame e la malattia per sè e per i suoi bimbi, senza poter far altro che aspettare la morte.
Penso alle mie sorelle che non hanno un posto accogliente e sereno dove vivere.
Che conoscono il dolore della violenza sessuale e fisica.
Che non hanno gli stessi diritti e riconoscimenti lavorativi dei colleghi uomini.
Che devono mettere da parte il desiderio di maternità per non perdere il lavoro.
Che sono prigioniere tra le mura domestiche.
Che sono umiliate, disprezzate solo per il fatto di essere donne, e a cui viene negata la dignità di essere donna.
Per me e il mio ristrettissimo mondo questa festa potrebbe anche essere inutile.
Ma non lo è perchè serve ad aprire gli occhi, a guardarsi intorno...
Anche io vorrei che non ci fosse più la festa della donna.
Perchè vorrebbe dire vivere in un mondo senza discriminazioni sessuali.
Un mondo in cui ogni donna possa studiare e sfruttare la propria intelligenza.
In cui l'uomo e la donna abbiano pari possibilità lavorative.
Un mondo in cui ogni donna possa vestirsi e comportarsi come crede senza essere giudicata nella sua sessualità.
Possa essere pienamente padrona della sua femminilità e della sua sensualità.
Un mondo in cui ogni donna possa essere semplicemente se stessa.
La mia mimosa oggi non è un fiore giallo, ma un pensiero per ogni mia sorella nel mondo.
Lettera alle donne
Giovanni Paolo II
Grazie a te, donna-madre, che ti fai grembo dell'essere umano nella gioia e nel travaglio di un'esperienza unica, che ti rende sorriso di Dio per il bimbo che viene alla luce, ti fa guida dei suoi primi passi, sostegno della sua crescita, punto di riferimento nel successivo cammino della vita.
Grazie a te, donna-sposa, che unisci irrevocabilmente il tuo destino a quello di un uomo, in un rapporto di reciproco dono, a servizio della comunione e della vita.
Grazie a te, donna-figlia e donna-sorella, che porti nel nucleo familiare e poi nel complesso della vita sociale le ricchezze della tua sensibilità, della tua intuizione, della tua generosità e della tua costanza.
Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l'indispensabile contributo che dai all'elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, ad una concezione della vita sempre aperta al senso del « mistero », alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità.
Grazie a te, donna-consacrata, che sull'esempio della più grande delle donne, la Madre di Cristo, Verbo incarnato, ti apri con docilità e fedeltà all'amore di Dio, aiutando la Chiesa e l'intera umanità a vivere nei confronti di Dio una risposta « sponsale », che esprime meravigliosamente la comunione che Egli vuole stabilire con la sua creatura.
Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani
venerdì 5 marzo 2010
"Musicalmente" parlando ho un grandissimo difetto.
Quando mi piace una canzone, la ascolto fino alla noia.
Sempre la stessa.
Di continuo.
Per giorni interi.
Fino a mettere a dura prova la pazienza di chi mi è vicino.
Poi, finito quest'ascolto morboso, si ricomincia con un'altra canzone.
E così, inevitabilmente, ognuna finisce per essere simbolo di un particolare periodo o stato d'animo.
C'è la canzone dei miei primi mesi lontana da casa.
Della prima volta in reparto.
Dell'esame di chirurgia o di quello di dermatologia.
Quella dei primi giorni delle mie storie d'amore...
E ogni volta che per caso mi capita di risentirle, vengo nuovamente travolta da quelle emozioni.
E riviverle di nuovo è -forse- ancora più bello.
E poi...
Poi, c'è questa canzone.
La canzone a cui sono più legata in assoluto.
La canzone del momento più buio della mia vita.
Di quando tocchi il fondo e puoi solo risalire, sperando che l'impatto non ti abbia danneggiato per sempre.
Sperando che la vita ti conceda una seconda possibilità.
...I hardly recognized the girl you are today
And god i hope it's not too late...
E -paradossalmente- è anche la canzone della mia rinascita.
Del momento in cui, ancora in lacrime, ancora ferita, senza sapere di preciso cosa fare, decidi comunque di provare a rialzarti.
E c'è qualcuno che decide di essere con te.
Di tenderti la mano.
Di non lasciarti sola.
...'Cause you are not alone
And i am there with you
And we'll get lost together
Till the light comes pouring through...
E -prima o poi- la luce arriva...
Quando mi piace una canzone, la ascolto fino alla noia.
Sempre la stessa.
Di continuo.
Per giorni interi.
Fino a mettere a dura prova la pazienza di chi mi è vicino.
Poi, finito quest'ascolto morboso, si ricomincia con un'altra canzone.
E così, inevitabilmente, ognuna finisce per essere simbolo di un particolare periodo o stato d'animo.
C'è la canzone dei miei primi mesi lontana da casa.
Della prima volta in reparto.
Dell'esame di chirurgia o di quello di dermatologia.
Quella dei primi giorni delle mie storie d'amore...
E ogni volta che per caso mi capita di risentirle, vengo nuovamente travolta da quelle emozioni.
E riviverle di nuovo è -forse- ancora più bello.
E poi...
Poi, c'è questa canzone.
La canzone a cui sono più legata in assoluto.
La canzone del momento più buio della mia vita.
Di quando tocchi il fondo e puoi solo risalire, sperando che l'impatto non ti abbia danneggiato per sempre.
Sperando che la vita ti conceda una seconda possibilità.
...I hardly recognized the girl you are today
And god i hope it's not too late...
E -paradossalmente- è anche la canzone della mia rinascita.
Del momento in cui, ancora in lacrime, ancora ferita, senza sapere di preciso cosa fare, decidi comunque di provare a rialzarti.
E c'è qualcuno che decide di essere con te.
Di tenderti la mano.
Di non lasciarti sola.
...'Cause you are not alone
And i am there with you
And we'll get lost together
Till the light comes pouring through...
E -prima o poi- la luce arriva...
martedì 2 marzo 2010
Non riesco ad esprimere la tenerezza che ho provato quando stanotte hai bussato alla porta della mia camera.
Ti tenevi il pancione, in preda ai dolori e mi fissavi impaurita.
Avevo davanti una donna con lo sguardo di bimba.
Ho cercato di nasconderti la mia ansia da "quasi" medico inesperto.
Ti ho abbracciato, ti ho coccolato e parlato a lungo.
E mi si è stretto il cuore quando nel tuo italiano stentato mi hai chiesto se fa male quando nasce un bimbo.
Sei mamma, ma sei così piccola che forse non sai neanche cosa vuol dire esserlo.
Stai per partorire e non sai neanche se fa male.
Ho provato a spiegartelo in parole semplici, con dolcezza, senza spaventarti.
E in quel momento mi è tornato in mente che non so neanche se il tuo bimbo è frutto d'amore.
Mi sembri così indifesa.
E io così impotente.
Poi sono ritornata alla vita di tutti i giorni.
Ai mie impegni, alle mie preoccupazioni, ad affannarmi per cose più o meno importanti.
Ma non riesco a togliere dalla mente il tuo sguardo.
Chissà quante ragazze ci sono come te.
Chissà in quante stanotte hanno avuto paura.
E io non ho potuto fare niente per te se non parlarti e accarezzare il tuo pancione.
E dividere con te la tua paura.
Chissà se qualcun'altro stanotte ha trovato una mano amica.
Un abbraccio.
Una parola di conforto.
E mi sento così piccola...
...e se sei persa
in qualche fredda terra straniera
ti mando una ninnananna
per sentirti più vicina...
Ti tenevi il pancione, in preda ai dolori e mi fissavi impaurita.
Avevo davanti una donna con lo sguardo di bimba.
Ho cercato di nasconderti la mia ansia da "quasi" medico inesperto.
Ti ho abbracciato, ti ho coccolato e parlato a lungo.
E mi si è stretto il cuore quando nel tuo italiano stentato mi hai chiesto se fa male quando nasce un bimbo.
Sei mamma, ma sei così piccola che forse non sai neanche cosa vuol dire esserlo.
Stai per partorire e non sai neanche se fa male.
Ho provato a spiegartelo in parole semplici, con dolcezza, senza spaventarti.
E in quel momento mi è tornato in mente che non so neanche se il tuo bimbo è frutto d'amore.
Mi sembri così indifesa.
E io così impotente.
Poi sono ritornata alla vita di tutti i giorni.
Ai mie impegni, alle mie preoccupazioni, ad affannarmi per cose più o meno importanti.
Ma non riesco a togliere dalla mente il tuo sguardo.
Chissà quante ragazze ci sono come te.
Chissà in quante stanotte hanno avuto paura.
E io non ho potuto fare niente per te se non parlarti e accarezzare il tuo pancione.
E dividere con te la tua paura.
Chissà se qualcun'altro stanotte ha trovato una mano amica.
Un abbraccio.
Una parola di conforto.
E mi sento così piccola...
...e se sei persa
in qualche fredda terra straniera
ti mando una ninnananna
per sentirti più vicina...
lunedì 1 marzo 2010
I bloggers più attenti si saranno accorti che non compare più un post pubblicato ieri sera.
Ho deciso di eliminarlo perchè -a volte- le parole sono superflue.
Perchè ogni cosa dovrebbe essere meritata.
Anche l'affetto.
Anche un ricordo.
Ogni cosa ha valore.
Un sorriso, una risata, una telefonata, un consiglio.
Ogni cosa di valore è un dono.
E, come tale, deve essere apprezzata.
Ogni cosa ha valore.
Anche il silenzio.
E chi non capisce cosa nasconde il tuo silenzio, non può considerarsi realmente tuo amico.
Ho deciso di eliminarlo perchè -a volte- le parole sono superflue.
Perchè ogni cosa dovrebbe essere meritata.
Anche l'affetto.
Anche un ricordo.
Ogni cosa ha valore.
Un sorriso, una risata, una telefonata, un consiglio.
Ogni cosa di valore è un dono.
E, come tale, deve essere apprezzata.
Ogni cosa ha valore.
Anche il silenzio.
E chi non capisce cosa nasconde il tuo silenzio, non può considerarsi realmente tuo amico.
Ho ricevuto questo premio dal blog di Max http://max-blogdimax.blogspot.com/ e lo rigiro a tutti i miei lettori.
Tutti voi che mi seguite con affetto, con pazienza e con costanza.
Tutti voi che non mi fate mai mancare il vostro sostegno e i vostri consigli.
A tutti, grazie di cuore!
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