giovedì 18 marzo 2010

Cari amici bloggers, sono riuscita a "ricostruire" in buona parte la mia testimonianza di martedì. Mi rendo conto che è molto lunga, ma ho voglia di condividerla con voi che non mi avete mai fatto mancare il vostro appoggio.


Una delle cose che più spesso mi viene chiesta è perchè ho scelto di fare il medico.
Non ho mai trovato una risposta precisa a questa domanda, perchè credo che la scelta sia venuta da sè con gli anni, sia nata e sia maturata con la mia storia.

Ho conosciuto la sofferenza sin da piccolissima, quando mio zio, missionario in Africa da più di 30 anni, mi raccontava le storie di bambini come me che vivevano una vita molto diversa dalla mia.
Già a 3 anni sapevo che lo scarto della mia cena di una sera era ciò che uno dei "bimbi dello zio" non avrebbe mangiato neanche in una settimana.
Sapevo che c'erano bambini come me che camminavano per chilometri per un pò di acqua -che dalle foto mi sembrava tanto quella delle pozzanghere-, mentre a me bastava aprire il rubinetto. Sapevo che ero fortunata ad avere un papà e una mamma che mi volevano bene, che si prendevano cura di me, che non mi facevano mancare niente.

Sin da piccola ho imparato che fuori dalla porta di casa mia c'era un mondo diverso, molto diverso dal mio.
Un mondo di fame, povertà, dolore.

Sono cresciuta con la sensibilità di chi non riesce a voltarsi dall'altra parte di fronte alla sofferenza.
Non sapevo bene come fare, ma volevo essere utile, volevo fare qualcosa.
Quando a 12-13 anni ho iniziato a frequentare la parrocchia del mio quartiere, ho capito che il disagio, la droga, l'abbandono sono miei vicini di casa.
Io che frequentavo le migliori scuole della città, studiavo musica, inglese, nuotavo, avevo come compagni di giochi ragazzini che sapevano come usare una pistola, che sapevano cosa vuol dire avere un papà in cassa integrazione o in carcere, cos'è l'alcol o la droga.
Ho imparato che la violenza è spesso l'urlo di chi cresce senza amore, che il dolore vissuto in solitudine può annientarti, che spesso la vita ti porta a gesti estremi.
Come quello di Gianluca, un mio amico.
Uno di quei ragazzi che a scuola è "un'istituzione", che è sempre circondato da amici, che ha sempre qualcuno con cui parlare.
Uno di quei ragazzi che credi non si possano mai sentire soli.
Invece si sentiva solo e ce ne siamo accorti il giorno in cui ha deciso che il peso della vita era troppo per lui e si è lanciato dal tetto della scuola.
Penso a Gianluca tutti i giorni.
Penso a lui che mi ha aperto gli occhi su un altro tipo di dolore, più subdolo, più sottile, più spaventoso di quello fisico.
Quello psicologico: la depressione, l'ansia, il panico,la solitudine.
Gianluca era circondato di persone ma non aveva nessuno con cui dividere i suoi pensieri.
Chissà quante volte ha chiesto aiuto e non ce ne siamo accorti, presi dai nostri impegni, protetti dalle giustificazioni dei nostri problemi. Chissà quanto grande era il suo dolore e quanto piccola fosse la nostra attenzione verso di lui.

La storia di Gianluca mi ha insegnato che spesso un urlo di dolore non fa rumore, che spesso passo intere giornate con persone che in realtà non conosco. "Perchè io ho la mia vita, i miei problemi. Non posso certo preoccuparmi di quelli degli altri..."

Ho capito così che volevo uscire dal mio recinto, dal mio egoismo e guardare gli altri negli occhi.
Ho deciso che avrei cercato di avere sempre 5 minuti per parlare, che avrei stretto mani e dato abbracci e che ci sarei stata per chiunque si fosse rivolto a me.
Perchè il dolore diviso in due pesa un pò meno.

Ho deciso di essere medico perchè ho vissuto la malattia quando ero bimba.
Ho vissuto il dolore, la paura, e nonostante i miei 7 anni avevo notato come nessuno di quei signori in camice bianco si fosse mai preoccupato di farmi una carezza.

Sono entrata la prima volta in reparto da studentessa con la consapevolezza che per me nessun paziente sarebbe stato il numero del letto o il nome della malattia.
Ho collezionato rimproveri su rimproveri dai miei superiori, perchè perdevo tempo a parlare con i malati.
"Perdevo tempo" a regalare un sorriso, a stringere una mano, a scambiare due chiacchiere.
Spesso nei miei tirocini venivo classificata come medico potenzialmente bravo ma non produttivo.
Perchè essere produttivi in medicina vuol dire visitare e curare il maggior numero di pazienti possibile nel minor tempo possibile.

Ma io non volevo questo.
Non volevo vivere così questo mestiere.
Non era questa che volevo essere.

Un bel giorno mi sono svegliata e ho deciso di non laurearmi più. Piuttosto che fare il mestiere che ho sempre amato e che sentivo "mio" in modo così diverso da come mi aspettavo, preferivo non laurearmi proprio.
Tutto quello in cui credevo e su cui avevo basato la mia vita mi sfuggiva di mano.

Ho pianto.
Mi sono disperata.
Ho conosciuto l'apatia e la depressione.
Ho conosciuto il dolore che ti toglie il respiro, la delusione, l'inadeguatezza.
Ho conosciuto il dolore che non riesci a confidare a nessuno, il dolore che ti porta anche a pensare a cose stupide, molto stupide.
Stavo male ed ero da sola, perchè nessuno dei miei colleghi aveva tempo da togliere alla galoppante ascesa nel mondo della medicina.
E io che ero rimasta indietro, forse non ero davvero all'altezza di questo mestiere.
Ho chiesto aiuto alla mia migliore amica, collega e medico.
Le ho parlato della sofferenza che mi stava logorando come si fa tra amiche, ma anche come si fa tra colleghi.
Da allora non l'ho più vista. Forse ha pensato che non fossi più "alla sua altezza". O che non avesse tempo da perdere con me.
Paradossalmente però, ora che sto bene, non ce l'ho con lei. Perchè a sua insaputa mi ha insegnato che genere di medico non voglio essere.
Non voglio scrivere articoli, andare ai congressi, essere famosa, se poi non riesco ad essere vicino a chi mi chiede aiuto.
Io voglio trovare il tempo di ascoltare.
Di stringere una mano.
Di dividere lacrime e sorrisi.
Sofferenze e speranze.
Io voglio esserci.

Proprio quando pensavo di aver toccato il fondo, ho conosciuto il Sermig (ndr per chi volesse sapere qualcosa di più, www.sermig.org).
L'Arsenale è diventato presto la mia seconda casa, perchè sono stata accolta con un sorriso, senza essere giudicata. E da allora ho ritrovato la pace.
All'Arsenale ho imparato che anche quando sembra di essere così piccoli, così vuoti, così inutili da non aver niente da dare, si può fare qualcosa per gli altri.
Anche nella sofferenza profonda si può dare speranza.
E il bene porta il bene.

Ricordo con un sorriso le facce sconvolte delle mie colleghe quando sapevano che io -futuro medico- trascorrevo interi pomeriggi a preparare i pasti o pulire i bagni dei senza tetto.
Io futuro medico, a fare cose così "umili" per gente che non avrei incontrato, che non avrebbe mai potuto esprimermi la propria riconoscenza.
All'Arsenale ho conosciuto la mia vera dimensione. La mia strada.
Ho imparato quanto è difficile aiutare, quanto a volte costa non ricevere neanche un grazie.
Ma ho capito che è ancora più bello riuscire a dare in maniera gratuita.
E il più delle volte, gli sguardi che incrociano il tuo, gli abbracci inaspettati, i sorrisi timidi, valgono più di mille parole.

Ho imparato che le mie mani, il mio cuore, il mio tempo, la mia professionalità se messe al servizio degli altri diventano lumini di speranza.
Spesso sento dire che "fare il medico è una missione". E' una frase che non sopporto!
E' vero, godiamo di un notevole riconoscimento sociale, che spesso e volentieri ci fa sentire "invincibili".
Ci occupiamo delle persone nel momento in cui sono più fragili, più indifese.
Ma solo questo non fa di noi persone migliori degli altri.
E questo non esonera gli altri dall'essere vicino alla sofferenza del parente, dell'amico, del vicino di casa. Ognuno in base alle competenze, all'esperienza, all'età.

I miei amici che si professano atei spesso mi chiedono: "Dov'era Dio durante il terremoto ad Haiti?".
E noi dov'eravamo? Ad Haiti si moriva di fame e malattie già prima del terremoto.
NOI dov'eravamo?
Dove siamo noi OGGI che 30 mila persone moriranno di fame?

La fame, la malattia, la droga, la violenza...
Dov'è Dio?
Cosa fa Dio?

Per me la risposta è questa: per il mio fratello che soffre, Dio ha fatto ME.

21 commenti:

Nuccio Gatto ha detto...

Dovrò leggere tutto con molta attenzione seguendo bene le punteggiature non fare cone faccio solitamente, ogni passo merita una riflessione, non voglio fare come quando uno ha sete e beve dalla bottiglia senza fermarsi un'attimo. Ma dimmi una cosa, la tua infanzia la hai trascorsa giù? perchè io conosco molto bene la tua città natale in quanto quando ero ventenne ci freguentavo e conoscevo molto la piaga che strozzava i giovani, ciao.

Gin ha detto...

Ciao Max!! in effetti il post è lunghissimo, per quanto ho cercato di essere sintetica, ma ho parlato per un'ora!
Si, ho vissuto nella mia città natale fino ai 18 anni.

Xina ha detto...

...senza parole....con i lucciconi, ma senza parole....

Solo una cosa mi viene in mente al momento: il medico che vuoi essere è il medico che tutti noi sognamo di incontrare.....Grazie

Gin ha detto...

Xina, grazie!!!
Ho accettato di portare questa testimonianza perchè sapevo che non mi sarei limitata a raccontare episodi della mia vita professionale, ma avrei parlato del dolore e della sofferenza, avendoli conosciuti.
Sono strafelice che i ragazzi l'abbiano apprezzato e ne siano rimasti entusiasti!
E spero davvero, con tutta me stessa, che il mio racconto possa aiutare chi l'ha ascoltato a credere che anche nei momenti più bui può crescere in noi il fiore della speranza.
Grazie ancora!
Ti abbraccio!

Nuccio Gatto ha detto...

Ho letto tutto, non sarai mai un medico burattino con le tasche piene di soldi, ma tu cara hai tanta amina dentro, continua cosi e voltati sempre indietro a guardare perchè il cammino è lungo e il traguardo lontano e il traguardo sei tu!!!

Gin ha detto...

Max, grazie di cuore!!! e grazie perchè il tuo e il vostro sostegno mi aiutano a credere che sto seguendo la strada giusta, anche se più difficile!
Auguri a te che sei papà

franci ha detto...

Gin questo post è da prima pagina! Ho un nodo in gola...è bellissimo perchè evidentemente chi lo scrive è una bellissima persona. Continua così, con le tue convinzioni, vai avanti anche se gli altri ti additeranno perchè solo credendoci si avrà successo, serenità e gioia nella vita....
Complimenti per ciò che sei, che fai e che scrivi...
Un abbraccio forte...mi hai fatto emozionare davvero molto...

Franci

Gin ha detto...

Franci, che dire, grazie! Grazie di cuore!!

marco63 ha detto...

.....Senza parole....sei speciale Gin

x ha detto...

GRANDE. complimenti, veramente. sei una grande. non ti conosco ma condivido tutto ciò che hai scritto e sono d'accordo, sei il medico che ognuno di noi vorrebbe incontrare nel momento del bisogno ma anche una persona che si avrebbe il piacere di incontrare per confrontarsi sulla vita. grazie.emy.

Gin ha detto...

Sono commossa. Grazie, grazie a tutti!

sweet candy ha detto...

GRAZIE!!! :)

❤ Bida ❤ ha detto...

Sto piangendo...mi hai commosso molto profondamente e mi hai lasciato SENZA PAROLE e senza fiato!
Anche io ho conosciuto quella sofferenza che ti toglie il respiro e toglie i colori della vita,ancora ne soffro, anche se meno forte di prima!E per qsto ti capisco MOLTO bene.
Vorrei solo che queste tue parole fossero rilette SPESSO da coloro che si definiscono i ns medici, che con velocità ci mandano fuori dai loro studi senza qsi ascoltarci.
Solo rileggendole spesso potrebbero FORSE...e sottolineo FORSE...ricordarsi PERCHE' un giorno hanno deciso, studiato e si sono più o meno impegnati per diventare dei medici se OGGI sono "ridotti" così.
GRAZIE per tutto quello che fai e che farai.
Chi ti incontrerà sarà una pesona fortunata, COMUNQUE vada!
GRAZIE DI CUORE!

Barbara ha detto...

Anch'io ho le lacrime agli occhi, e mi torna alla mente la malattia di mio papà, che siccome era anziano e aveva solo pochi mesi di vita era trattato come una cavia.
Non credo fosse quello che lui avrebbe desiderato dai medici, anche se era un uomo burbero e "freddo".

E solo da quando frequento la casa di riposo capisco quanto è importante per le persone una carezza, una parola, un abbraccio...
Gin fai sempre quello che senti, non quello che vogliono gli altri.
Non sbaglierai mai!!!
Sei grande!!

Gin ha detto...

Cara Bida,
in alcuni giorni faccio ancora fatica a vedere i colori, ma ho la speranza di potercela fare e ritornare a vivere con intensità come ho sempre fatto.
Abbi pazienza e ricordati che non sei da sola!

Sono stata paziente ancor prima di scegliere di diventare medico. Questa è da sempre la mia fortuna, perchè so cosa vuol dire aver paura, cercare uno sguardo rassicurante e vedere il "vuoto" dall'altra parte.
Ogni giorno ho il timore di non essere in grado di fare questo mestiere. Ma ogni giorno mi ripeto che -cmq vada- non negherò mai una parola di conforto, uno sguardo di consolazione, un gesto di partecipazione.
Grazie davvero!!
Ti abbraccio forte

Gin ha detto...

Barbara, grazie!!!
E grazie per il tuo sostegno e la tua vicinanza in tutti questi mesi!
Baci bella bionda!!

❤ Bida ❤ ha detto...

COME E QUANTO SONO VERE LE TUE PAROLE, CARA BARBARA!
Anche il mio papà, quando era un malato terminale per un tumore, in ospedale non veniva "considerato" un paziente,o un essere umano. Bensì un essere che TANTO non aveva via di scampo e quindi non c'era cura che tenesse...
CHE TRISTEZZA!!

Per fortuna ci sono dei medici come Gin, e non solo come lei PER FORTUNA! che ci faranno ricredere sull'umanità dei medici!

elena ha detto...

che belle parole....

Jumbo ha detto...

Salve Signora/ina Gin, forse mi conoscerà oppure no!.
Comunque per farla breve il sottoscritto (Mauro M.M.CC Jumbo) scriveva poco tempo fa sul blog di una persona che, per rispetto ed educazione parlando, non dirà mai più il suo nome in quanto questa persona (che io giudico falsa e poco affidabile in tutti i sensi)si è comportata veramente male (a livello amicale!!) nei miei confronti al punto tale da inventarsi un nuovo blog!.
Praticamente questa persona per me non esiste più e tutto quello che continua a scrivere sul suo nuovo blog non mi interessa o meglio per il sottoscritto non corrisponde ad assoluta verità!. La considero solo pubblicità personale e basta!. Un pò come accade in campagna elettorale!
Comunque tralasciando questa parentesi privata, le volevo dire che ho letto attentamente il suo post e non posso esimermi dal confessarle che sono rimasto veramente colpito dal suo racconto!. Parole veramente toccanti e piene di verità!!.
Capisco perfettamente cosa abbia sofferto, me ne rendo conto, ma la forza di lottare e di non mollare mai alla fine l'ha premiata!. Bravissima, complimenti!. Guardi le dico che in alcuni passi del suo racconto mi sono immedesimato in lei!. Anch'io, che non sono un medico, ma un appartenente alle forze dell'ordine, prima di arrivare dove adesso sono ho dovuto sudare le proverbiali sette camicie passando per rimproveri, punizioni continue, lavori e servizi umili, turni straordinari al limite dell'insopportabilità, riprese in pubblico frequenti da parte di superiori (io li chiamo i grandi capi che alla fine non comandano un cazzo!!), rotture di palle ecc.!. E non le nascondo che anch'io in più di un'occasione ho pensato di congedarmi da quest'ambiente ma alla fine la forza di lottare ha prevalso!. E forse è stato un bene!. Ha ragione quando dice che fuori il mondo è diverso!. Quando all'età di 19 anni sono andato via da casa per intraprendere la carriera militare pensavo che tutto fosse diverso e invece mi sbagliavo!. Fuori ho conosciuto un mondo crudele dove se sei sveglio, furbo ed attento campi e vai avanti altrementi tutti ti mettono sotto i piedi!!. Questo almeno nel mio ambiente lavorativo!!. E suppongo anche nel suo da quanto ho letto!.
Augurandole tutto il bene possibile la saluto cordialmente. Mauro M.M.CC Jumbo

Diabolik ha detto...

Jumboooo anche qui, fai il bravo mi raccomando!

Jumbo ha detto...

Salve Diabolik, io faccio sempre il bravo, però se qualcuno mi "sfruculea" (come si dice dalle mie parti!)o tenta di prendermi in giro cambiando le carte in tavola a suo piacimento (come ha fatto a suo tempo una data persona!)allora mi comporto di conseguenza!!.
La saluto cordialmente!. Mauro M.M.CC